Radioattività ambientale, pubblicato il report di Arpa Sardegna

Mercoledì 20 Maggio 2020

Radioattività ambientale, pubblicato il report di Arpa Sardegna

I dati del monitoraggio confluiscono, assieme a quelli delle altre reti regionali, nella rete nazionale RESORAD, coordinata dall’ISIN.

L’Arpa Sardegna ha recentemente pubblicato ilRapporto sulla radioattività ambientale”. Nell’intervista a Massimo Cappai, Direttore del Servizio Agenti Fisici dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Sardegna e curatore del report, alcuni dei dati emersi dallo studio.

Quali sono le principali attività che, in Sardegna, utilizzano sorgenti radioattive?
Le principali attività comprendono alcune strutture sanitarie con reparti o Servizi di Medicina Nucleare, sostanzialmente finalizzate alla radiodiagnostica, presenti in quattro Province (Area metropolitana di Cagliari, Sud Sardegna, Sassari, Nuoro) e Servizi di Radioterapia oncologica presenti nella Città metropolitana di Cagliari, a Sassari e a Nuoro.
Sono presenti diversi laboratori che utilizzano sorgenti radioattive per diagnostica e, in ambito universitario, per attività di ricerca.
Ci sono, inoltre, numerose aziende che utilizzano sorgenti radioattive sigillate, sia nei controlli di processo che per il controllo qualità dei prodotti (aziende meccaniche, cementifici, aziende chimiche, aziende petrolchimiche, attività minerarie). Ad esse si aggiungono le aziende che riutilizzano scarti metallici e un'azienda che utilizza fumi d’acciaieria quale materia prima secondaria per estrazione di metalli, attività classificata come recupero rifiuti.
Infine, attività che hanno utilizzato materiali che, nel corso del processo produttivo, hanno comportato la produzione di residui con concentrazioni di radioisotopi di origine naturale (NORM), quali ad esempio produzione di fertilizzanti, un impianto di lavorazione della bauxite per la produzione di alluminio o impianti di produzione di energia elettrica dalla combustione di materiali fossili (carbone).
Le attività di monitoraggio dei reflui e dei fanghi degli impianti di trattamento e depurazione effettuate da questo laboratorio fino ad alcuni anni fa hanno evidenziato, generalmente, la presenza di basse concentrazioni di tutti i principali isotopi utilizzati a questo scopo.
Lo smaltimento non corretto di rifiuti provenienti da pazienti sottoposti a trattamento con sostanze radioattive determinano, peraltro, il superamento delle soglie di allarme nei portali radiometrici, che verificano i carichi in ingresso nei principali impianti di trattamento rifiuti soprattutto nella Provincia di Cagliari, con il conseguente allerta degli Enti di controllo (ARPAS e Vigili del Fuoco).
Negli anni scorsi, anche su richiesta di autorità competenti o dell'Autorità Giudiziaria, sono state svolte attività di monitoraggio e controllo relative all'uso (reale o presunto) presso i poligoni militari di munizionamento contenente Uranio Impoverito e Torio (Poligono del Salto di Quirra - OG), Poligono di Teulada - CA).

Quali sono i numeri riguardanti il radon? Sono state messe in atto azioni che hanno significativamente influito sulle rilevazioni indoor?
Su incarico dell'Assessorato Regionale alla Sanità e in collaborazione con l'Azienda Tutela Salute Sardegna – ASSL di Cagliari, l’ARPAS ha predisposto e realizzato, nel corso del 2017-2018, il Progetto Radon, finalizzato alla “Classificazione del territorio regionale della Sardegna con individuazione delle aree a rischio radon”.
L'indagine, integrata con i risultati di precedenti campagne di misura realizzate fra il 1992 e il 1995 in abitazioni e scuole di tutto il territorio regionale, ha consentito di ottenere misure annuali di concentrazione di radon indoor su 1837 edifici su un campione di 208 Comuni della Sardegna (su 377 Comuni totali).
Il criterio di indagine ha previsto la scelta dei comuni sulla base della suddivisione il più possibile omogenea nel territorio regionale sia dal punto di vista "geografico" che sulla base delle caratteristiche geolitologiche del substrato sul quale sono costruiti i relativi edifici.
Per ciascun comune è stata stipulata una specifica convenzione che prevedeva l'individuazione di un referente comunale che, a seguito di specifica informazione e formazione, si è poi occupato di individuare otto abitazioni e due scuole nei quali posizionare i dosimetri.
Le misure sono state eseguite con dosimetri a tracce (tipo CR39) in 2 semestri consecutivi (marzo-agosto 2017 e settembre 2018-marzo 2018) in locali al piano terra degli edifici campione.
I risultati ottenuti hanno determinato una media aritmetica regionale (AM) dei valori di concentrazione radon indoor pari a 116 Bq/m3 e una media geometrica (GM) pari a 65 Bq/m3.
La distribuzione dei valori di concentrazione media nei Comuni campione mostra che il 93% dei Comuni interessati presenta una concentrazione media annuale inferiore ai 300 Bq/m3, il 4% valori tra 300-500 Bq/m3 e il 3% valori superiori ai 500 Bq/m3.
Per la definizione delle aree a rischio radon e la classificazione dell'intero territorio regionale è stato necessario procedere a delle interpolazioni con strumenti di elaborazione di tipo geostatistico.
Al fine di classificare le aree del territorio regionale in relazione alle concentrazioni di radon indoor si è individuato nel valore di riferimento di 300 Bq/m3 e nel 30% la soglia della probabilità di superamento di tale valore per gli edifici. Complessivamente sono risultati ricadere in tali aree a rischio 49 Comuni della Sardegna (pari al 13%), che ricadono nei settori nord-orientale e centro-orientale della Sardegna.

L'incidente di Chernobyl e il più recente di Fukushima hanno, inevitabilmente e in misura diversa, "lasciato traccia". Dalle rilevazioni effettuate, quali valori sono testimonianza ancora oggi di quegli eventi?
L'incidente di Chernobyl, come è noto, ha interessato con le sue ricadute tutto il territorio italiano e la Sardegna è stata naturalmente coinvolta, anche se in misura minore rispetto ad altre aree del territorio nazionale.  Mentre negli anni successivi all'incidente sono stati riscontrati valori di concentrazioni di radioisotopi artificiali riconducibili all'incidente sia nelle matrici ambientali che, in misura molto minore, nelle matrici alimentari, attualmente, dopo 34 anni, si rilevano tracce dell'ordine di alcuni Bq/kg di Cs-137 nei suoli mentre non sono stati misurati valori superiori alla sensibilità strumentale nel particolato atmosferico e nelle matrici alimentari, anche se provenienti da territori diversi da quello regionale.
L'incidente alla centrale nucleare di Fukushima del marzo 2011 non ha comportato ricadute rilevanti per quanto riguarda l'esposizione della popolazione ed è stato possibile misurare, esclusivamente per alcuni giorni dopo la diffusione della nube, debolissime tracce di Cs-137 e Cs-134, con concentrazioni nel particolato atmosferico pari ad alcuni micro Bq/m3, che è stato possibile determinare grazie all'uso di campionatori ad altissimo volume.  Tali misure rivestono, sostanzialmente, un grande interesse dal punto di vista scientifico per la messa a punto e la verifica dei modelli di dispersione soprattutto a grande scala.
Recentemente, grazie all'uso di strumentazione altamente sensibile, è stato inoltre possibile misurare concentrazioni estremamente basse di Cs-137 proveniente dagli incendi che, nei primi giorni di aprile, hanno interessato le aree intorno alla centrale nucleare di Chernobyl.

Ultima modifica: Mercoledì 20 Maggio 2020